venerdì 11 maggio 2007

Come stai?

Bene.
Quante volte l’avete detto? La mia persona non si sottrae alla regola.
Ma ieri un mio caro amico mi ha chiesto: “Come stai?” E io gli ho detto la verità.
Eccola.
Black Rock Desert, Nevada.
Tutt’intorno solo rocce, sabbia e polvere. Sono le 9 del mattino di un giorno qualunque, tanto è uguale. La colonnina di mercurio segna già 45° all’ombra. Peccato che non ci sia, l’ombra. Sono a bordo del bolide col quale Andy Green nel ’97 sfondò la barriera del suono sfiorando i 1228 km/h, avvolto in una tuta di pelle di coccodrillo del Nilo. Qualche raggio in più non mi farà male. Sono in piena corsa sul rettilineo sterrato che mi porterà verso la gloria, forse, o verso l’ennesimo fallimento della mia vita. Con l’equilibrio mentale che contraddistingue uno sciatore al chilometro lanciato, sfido le leggi della fisica e del buonsenso e penso a Onishi, altrimenti noto come il “padre dei kamikaze”. Penso: “Lui nella Storia c’è entrato.” Penso: “Perché io no?” Penso: “Non penso troppo per uno che sta correndo a mille all’ora e non sa bene perché?”
Sullo sfondo, all’orizzonte, si staglia quella che probabilmente sarà la mia Piramide di Cheope. Un muro di cinta alto non si sa quanto, largo non si sa quanto. È lì, imponente, mi aspetta. Penso: “Eccolo!”, ed è già lì. In mezzo, nel pieno centro, un’apertura. Il mio bolide ci passa: ci sono abbondanti 10 cm a sinistra e abbondanti 10 cm a destra di spazio. Ci passerebbe un neopatentato in retro. Vorrei il pilota automatico. Non ce l’ho. La mia corsa continua, folle. Non ho scelta, mi si pone un aut aut. Posso decidere di proseguire imperterrito, inseguendo quella gloria che fa rima con felicità, se va bene, o diventare un adesivo del muro, se va male; o posso premere il pulsante di espulsione che mi paracaduta al di là dell’ostacolo in un atterraggio comunque faticoso e doloroso e continuare a essere il Signor Nessuno che son sempre stato.
Ieri come oggi, come domani. Nessuno.
Cosa farò? Non lo so. So solo che, intanto, non sento più il rombo dei reattori.
Penso: “Ho sfondato il muro del suono o il muro di cinta?”
Dovrei pensare di meno! Un adesivo non pensa…

Che ci crediate o meno, questa è una metafora dell’amore.

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