sabato 21 luglio 2012

Osservazioni sull'universo astratto. O cazzate che dir si voglia

Vivere la vita, porta alla felicità? Alla serenità no di sicuro. Don Abbondio era sereno, prima di trovare i bravi. E la felicità cosa è? Ha a che fare con la serenità? Nel racconto "Era Agosto" dicevo di sì. Definivo la serenità come la porta che conduce alla felicità. Ma che felicità è quella che viene dalla serenità? E' felicità vera? Se guardiamo gli opposti la definizione non può essere veritiera. La non serenità non può portare al dolore. Sempre se si considera il dolore il contrario della felicità. Ho iniziato a capire negli anni, che dolore vero e felicità vera sono tutto sommato due facce della stessa medaglia. Sono emozioni, sensazioni, sentimenti portati all'estremo. Nel bene come nel male. Il dolore può diventare bello. Sveglia esattamente allo stesso modo della felicità. Se provi dolore, che sia fisico, spirituale, emotivo, ti senti vivo. Quasi felice del sentirti vivo. La non serenità no. Pur essendo più comune e meno faticosa, la non serenità è sempre negativa. Uno dell'Opus Dei che usa il cilicio, è felice nel suo dolore fisico. Ma proprio perchè è dolore. Non è che si mette a controllare le fatture dell'associazione per non essere sereno. Certo la felicità è molto meglio. Ma quante volte si raggiunge la felicità nella vita? E soprattutto, la nostra soglia della felicità è uguale? O è una parola che significa tutto e niente in funzione di chi la usa? Per me è uno di quei casi in cui il sostantivo è assolutamente diverso dall'aggettivo. Pensateci bene, dire sono felice, è molto più facile di dire ho raggiunto la felicità. C'è la stessa differenza che intercorre tra lo segnare un gol di testa a Montuzza e vincere la Champion's League. Sono felice è una locuzione che usiamo in continuazione. Ma proveremmo vergogna a dire ho raggiunto la felicità. E anche se lo diciamo, è una situazione così rara nell'esistenza, che diventa difficile da raccontare, spiegare e comunicare. Basetti

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